Corsi di psicologia a Milano


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Cronaca 2008

L'Irisp che era > Varie

La rivincita a un baro la chiede solo chi bara.

La rivincita a un baro la chiede solo chi bara

Gigi Pedroli 1998 Acquaforte

La sezione cronaca riferisce di situazioni che favoriscono l'evidenza dei temi alla base dei corsi di psicologia a Milano (e anche dei corsi estivi) dell'Istituto IRISP. Essa permette di ritrovare in quanto accade nel quotidiano la continuità con degli argomenti che vengono considerati, a torto, come specifici o propri della clinica.
Viene sempre più spontaneo segnalare le innumerevoli manifestazioni di violenza, come se la segnalazione traducesse l’esigenza di arrestarne l’insostenibile presenza. L’elenco dei destinatari di atti di violenza è lungo, dai bambini alle donne, ai deboli, a chi non dispone del potere, agli anziani. Ogni tentativo di redigere la lista delle vittime si conclude inevitabilmente con un termine in più rispetto all’elenco precedente, come se la lista fosse senza fine. Oltre ad un elenco che appare interminabile, mi pare di poter dire che vi è una vittima della violenza alla quale non si fa mai cenno: la violenza verso il "disponibile".
Nel tentativo di cogliere nel modo più essenziale le caratteristiche che connotano la malattia mentale Karen Horney nel 1935 scrisse: "vi sono due caratteristiche che si evidenziano sempre e non è necessario conoscere profondamente la struttura della personalità per vederle: una certa rigidità nelle reazioni e una sproporzione tra le realizzazioni e le capacità." Se la violenza è la negazione dell’altro, la violenza contro il "disponibile" è la negazione tout court. La "Parabola dei Talenti" (Vangelo secondo Matteo 25,14-30) aveva ben colto il pericolo.
Tutti gli esempi presenti nella cronaca del quotidiano dove emerge l'inclusione dell'apparente, devono aiutarci a comprendere che è un grave errore credere che l'essere umano rinunci facilmente ad una situazione che gli dà null'altro che apparenza. Per non cadere nell'errore dobbiamo pensare che esiste un livello dove il
niente ha valore poiché, mimando il concreto, ha il potere sovrano di farci scordare che non siamo in grado di ricevere. Ed è a questo livello che si instaura la dipendenza.


Dove c'è il silenzio, il sonno e il sorriso sulla porta c'è scritto Paradiso

silenzio sonno sorriso

Gigi Pedroli 1992 Acquaforte

L'influenza…che noia

Due anni fa, su un quotidiano di provincia, uno psichiatra commentò l'arresto di un pescatore che aveva confessato la sua responsabilità nell'incendio della pescheria di Trouville s/mer (edificio classificato) e in seguito il fabbricato provvisorio che era stato attrezzato per svolgerne le funzioni. L'estensore dell'articolo distingueva tra l'incendiario, cioè colui che mette il fuoco spinto dal desiderio di vendicarsi, di punire e il piromane il quale, a differenza del primo, agisce senza che ci sia un riferimento che sostenga l'atto. L'esistenza di un interesse o di una ragione rende il compito degli investigatori più facile e per tale motivo molto frequentemente gli incendiari vengono arrestati;nel caso del piromane, invece, la ricerca è molto più difficile, i successi delle indagini si limitano praticamente alle situazioni dove il soggetto viene preso in flagrante.
L'agire del piromane è un atto non connesso ad un'origine; Freud fu il primo a riconoscere e a confrontarsi con l'estensione di queste azioni e ritenne che avessero una motivazione inconscia. Nel caso del piromane, lo psichiatra nell'articolo suggeriva che tale motivazione potesse essere l'eccitazione, l'orgasmo rappresentato dal fuoco e tutte le analogie sessuali dell'acqua ,dei tubi … Ma in effetti l'origine sessuale di questa eccitazione è difficile da afferrare,riconosciuta da alcuni, sottovalutata da molti.
Forza è di constatare però che, nell'atto del piromane, è sempre esplicita e costante l'incapacità di essere frenato dalle conseguenze del suo atto. Conseguenze di cui peraltro il piromane ha una chiara percezione, si pensi che con frequenza i piromani sono dei pompieri volontari.
Pochi giorni fa un esperto in economia, Pietro Modiano, commentava l'andamento del dibattito avviato sul quotidiano "Il sole" in merito alle cause della crisi economica. A suo parere si sta formando una sorta di senso comune sulle cause della crisi. Un senso comune che fornisce spiegazioni atte ad evitare l'orrore del vuoto, ma che rischia di occultare il tanto che resta ancora da capire.
Riferire la crisi ad un banale errore di valutazione da parte di operatori incapaci di stimare, all'azzardo morale prodotto dalla separazione tra erogazione dei prestiti e detenzione del relativo rischio, alle agenzie di rating con innegabile conflitto di interessi, alle remunerazioni inverosimili dei managers lascia qualcosa di non chiaro. Quello che risulta, ed è inquietante, dice Modiano, riferendosi ai suoi colleghi, è che tutti abbiamo sbagliato nel dare un prezzo al rischio di credito, cioè la materia prima di ogni scelta finanziaria. E questo è avvenuto in un momento dove il mercato finanziario è dotato di strumenti, intelligenze, organizzazioni di mercato in grado di misurarli bene i rischi di credito.
Allora forse la spinta al guadagno facile, la disonestà, l'incompetenza sono cause analoghe a quelle che nell'incendiario sono la vendetta, la prepotenza. E se l'agire di tutti gli operatori fosse più simile a quello del piromane in quanto, almeno in parte, contiene la medesima assenza di connessione, di origine? L'agire del piromane non ha ragioni ma è tenuto in modo coatto perché colma la ricerca di emozioni che non ritrova nella vita quotidiana; non si tratta di emozioni particolari ma della più naturale, quella avvertita ogni volta che ci si vede capace di produrre una conseguenza o di ricevere uno stimolo. Ed allora per ovviare alla sua assenza il piromane produce il fuoco; in modo analogo l'operatore economico produce guadagni incandescenti. Entrambi sono/sarebbero in grado di sapere che le conseguenze del loro agire saranno catastrofiche ma, immobilizzati nell'incapacità di essere influenzati,l'unica operazione di cui dispongono per alleviare la loro pena è quella di credersi influenzanti guardando, l'uno le fiamme, l'altro i portafogli che si gonfiano a dismisura. Introdurre il delirio di onnipotenza, la volontà di potenza o quant'altro non aggiunge nulla. Le azioni compiute non significano nulla,solo permettono di cogliere il bisogno di uscire dalla sensazione di assenza prodotta da un'esistenza che mal ha conciliato l'incontro con la propria unicità.
Un'esistenza carente della semplicità dell'influenza, dove può comparire la sensazione di noia pura ed il sentimento che, non essendo connessa a nulla, non è alcun sentimento. Vladimir Jankélévitch, nel suo testo "La noia" 1963, aggiungeva che la noia diventa allora la possibilità di tutti i sentimenti poichè qualunque sentimento creduto ne può prendere il posto.

La sorte delle botteghe

Alla fine del 1988, su una settimanale ad alta tiratura, la psicanalista Marisa Fiumanò commentò una nuova trasmissione televisiva, "Io confesso" presentata ogni sera da Enza Sampò, su Rai 3. Il successo folgorante del programma, che inaugurava la serie delle trasmissioni confessionali, spinse la dottoressa Fiumanò ad un commento in merito al dubbio sollevato da molti che le storie, raccontate dai protagonisti resi irriconoscibili dall'opacizzazione del cilindro di vetro in cui si trovavano, fossero inventate di sana pianta. I protagonisti raccontavano o volevano sorprendere ed uscire dall'anonimato pur restando anonimi? La dottoressa Fiumanò concludeva il suo articolo riportando il seguente aneddoto.
"Mi viene in mente un caso riferito da un grande psicanalista, Michael Balint: un giorno Balint riceve un tipo che gli racconta una storia strana e complicata in cui lui non capisce un granchè. Non sapendo come cavarela fissa un altro appuntamento. Lo strano tipo ritorna, ma prosegue sullo stesso tono della volta precedente .Questa volta però Balint sbotta:"Non capisco niente di quanto mi racconta"L'altro tira un sospiro di sollievo e dice"Finalmente una persona sincera!L'ho già raccontata ad altri analisti ma tutti l'hanno bevuta"…
E' sicuro che se la Sampò rispondesse come Balint dovrebbe subito chiudere bottega. Non è certo lì per mostrare la verità veicolata dalla menzogna ma per alimentare la menzogna vera o falsa che sia"
Alla fine degli anni 80 "Io confesso" iniziava la stagione delle telereality e contemporaneamente dava un esempio, e quindi informava, della necessità di rivolgere il nulla a qualcuno, non importa chi. Da allora sono passati più di 20 anni, il nulla è stato raccontato in modo sempre più scaltro, senza passare per storie strane e complicate, ed ascoltato con atteggiamenti sempre più assorbiti e coinvolti. Botteghe adatte a questo tipo di esigenza ne sono state aperte ed ampliate a profusione.
Ora è arrivata la crisi; si avverte la sensazione che tutti i tipi di botteghe possono chiudere. Forse quello che Enza Sampò non poteva fare,confrontarsi con il nulla senza con esso confondersi, ora è la condotta da tenere perché qualche bottega vera possa restare aperta .



Grandi e piccoli

Le dichiarazioni che fanno riferimento agli eventi di grande rilievo internazionale, ma anche nazionale, mostrano regolarmente la colorazione politica della persona che le esprime. La guerra a Gaza non fa eccezione, ma vi è anche una serie di temi costanti che ritornano. Soprattutto sul piano delle richieste vi è un'ampia convergenza nell'invitare i contendenti ad assumere le proprie responsabilità,impegnandosi in un processo politico che conduca alla ripresa del dialogo e dei negoziati in corso. Trattandosi di richieste che giungono da ogni dove, e non hanno mai avuto nessun peso nell'orientare gli eventi, un commentatore ha avanzato il dubbio che le dichiarazioni siano l'esito di un copia-incolla planetario.
Se ci si sposta da quello che le parti in causa dovrebbero fare alla valutazione di quanto sta accadendo, si ritrovano forti divergenze; tanto più grandi quanto le posizioni ideologiche sono distanti. Pur tuttavia vi è un argomento che, senza avere l' unanimità dell'invito sopra citato a ritrovare il cammino politico, compare con molta frequenza nei commenti che provengono anche da schieramenti opposti, soprattutto dalle aree definite moderate. Si tratta della messa in evidenza di quanto la reazione israeliana sia sproporzionata e coinvolga degli innocenti.
Dare importanza e rilievo alle catastrofiche conseguenze di un atteggiamento sproporzionato fornisce forse lo spunto per immaginare un contributo che potrebbe risultare miracolosamente utile. Soffermandosi sul significato del termine sproporzionato, condizione formale che indica l'assenza di un adeguato rapporto tra cose in relazione tra loro, appare chiaro che nessuna condotta è esente dal rischio di essere considerata in tal modo. Visto che i grandi della terra non sono in grado di arrestare degli atti sproporzionati che coinvolgono degli innocenti, perché escludere che noi, cioè i piccoli di tutti il mondo, possiamo ottenere un risultato positivo riducendo la presenza di reazioni sproporzionate quando abbiamo in mano una tastiera,una bandiera,un guinzaglio,un apparecchio fotografico, un volante e un' infinità di altre cose ancora. Ogni atteggiamento sproporzionato crea lo spazio per un altro e non vi è garanzia che la sostanza della condotta ne riduca il livello.
Se consideriamo la sproporzione come la corruzione della coerenza e siamo convinti che la corruzione sia alla base dei problemi del mondo, moderare la sproporzione nel quotidiano è un modo per salvare dal massacro l'innocente per definizione:il senso come compagno. Senza affidarci soltanto alle sue infinite capacità di risorgere.



Un consiglio.

Nelle settimane che precedono le feste di fine anno tra gli argomenti proposti dai mezzi di comunicazione vi è la sensibilizzazione sul criterio da applicare nel donare: scegliere un dono necessario o superfluo. Il problema mi sembra che mobiliti un'enfasi eccessiva rispetto alla sua dimensione banale. Nei momenti di difficoltà economica è evidente che prevalga l'opzione del necessario, ma l'alternativa non è a senso unico e la caratteristica di superfluo non è solo negativa: un oggetto senza una funzione esplicita può comunque fornire una gioia. Non mi pare necessario prendere posizione in modo assoluto, la scelta può fluttuare secondo un'intuizione che sappia riferirsi al ricevente. Di ben altro peso l'alternativa presente in una tragica e commovente lettera pubblicata sul Corriere della sera del 17 maggio 1992.L'articolo aveva per titolo "Cari genitori ,da voi volevo dei consigli" Ve lo riporto. Corriere della Sera del 17 maggio 1992.

"Cari genitori ,da voi volevo dei consigli"

Roma.-"Comprare una bottiglia d'acqua; entrare nell'ultimo bagno; sistemare la corda…" Un foglietto giallo, attaccato al muro, sul quale aveva scritto tutto quello che doveva fare per uccidersi. Un agghiacciante, pignolo vademecum del suicidio ..E accanto il corpo sospeso ad una corda legata ad un tubo dell'angusta toilette. E' stato così che l'altra sera alcuni agenti della Polfer hanno trovato Francesca C., in un bagno della stazione Tiburtina .Erano le 20,30. Francesca aveva 20 anni. A casa aveva lasciato una lettera indirizzata ai genitori, tre struggenti cartelle scritte con la stessa calligrafia minuta e ordinata con cui aveva vergato gli appunti per uccidersi "Cari genitori ho commesso un gesto di cui forse non mi perdonerete mai e di sicuro non potrete mai capire". Francesca poi tenta di spiegare i motivi del suo gesto "Può sembrare assurdo da parte di una ragazza che, apparentemente, aveva la maggior parte delle fortune. Ma mille pagine non basterebbero a spiegarvi" E ancora: "Non posso certo rimproverarvi nulla, perché da voi ho avuto tutto. Tutto il necessario e il superfluo, ma non l'indispensabile. Non vi sto accusando di non avermi voluto bene…tutt'altro. Di bene me ne avete voluto anche troppo, ma non mi avete mai trasmesso niente di utile, non mi avete mai consigliato,indirizzato."

Tra le definizioni di "consiglio", nel dizionario Garzanti, vi propongo la seguente: Suggerimento, parere che si dà a qualcuno per aiutarlo in dubbi e difficoltà, o per indurlo a fare qualcosa.
L'atto di Francesca, espressione dell'avvertire il peso del non disporre dell'indispensabile, rappresenta l'invito a domandarci se abbiamo idea di cosa sia l'indispensabile; come se ci consigliasse di concepire che esiste. Accogliere il suo consiglio significa non sentire necessario restare assorbiti nei modi con cui organizziamo la nostra vita per evitare di scoprire che manca l'indispensabile.

Trasferimenti

Nei giorni scorsi le forze dell'ordine hanno sgomberato una roccaforte della droga situata in via Segantini, nell'area dell'ex Istituto Sieroterapico. Nel leggere la notizia mi sono ricordato di un altro sgombero, avvenuto in primavera, che aveva portato la signora Gianna Gaudioso a scrivere alla rubrica "Dalla parte del cittadino" curata da Giangiacomo Schiavi sul Corriere della Sera. Vi riporto la lettera e la risposta.
Caro Schiavi, scrivo con tristezza e con grande nostalgia. Sono ormai sessantenne, sono nata e vissuta per i miei primi vent'anni proprio in quel caseggiato di S. Maria del Suffragio 3 chiamato "fortino della droga" nella cronaca di giovedì. Anche allora, prima del boom, si faceva fatica a tirare fine mese ma quanta gioia quando la domenica papà comprava le paste, quando tra gli inquilini del quarto piano si acquistava a turno, e poi passandocelo una volta letto, Bolero Film con i fotoromanzi che ci appassionavano e non vedevamo l'ora di vedere il seguito. C'era una sarta vicina di casa che mi cuciva il costume per carnevale, gratis. Ma si dormiva con la porta d'ingresso dell'appartamento non chiusa a chiave, perchè non c'era nessun pericolo. Noi bambini la sera scendevamo nel giardino della piazza senza problemi, e il droghiere sotto casa segnava su un libretto quello che si comperava e lo avremmo pagato solo a fine mese. Questo e molto altro era il palazzo di Piazza Santa Maria del Suffragio 3... Volevo solo ricordarlo.
Gentile Signora,
non c'è più nelle case della vecchia Milano "quel palpito di remota poesia" descritto così bene da Buzzati sul Corriere degli anni Sessanta, adesso in quei due locali in affitto c'è sporcizia, disagio, umido e buio, un accampamento di clandestini e spacciatori, la rissa tra marocchini e tunisini, dodici cingalesi in una stanza...Molti rimpiangono la Milano del cuore che viveva in cucina, coi servizi in fondo alla ringhiera, e aveva il senso della solidarietà. E' triste vedere il luogo dell'infanzia ridotto così, la casa dove si è cresciuti che diventa il fortino dello spaccio. Abbiamo bisogno di legalità,signora Gianna, ma anche di sentimenti: domani comprerò anch'io le paste che fanno tanto domenica. Bolero Film no:purtroppo è fuori produzione .Giangiacomo Schiavi

Poche settimane fa dei furiosi incendi si sono estesi sino a dei centri residenziali di Los Angeles, le autorità dovettero intervenire per imporre, alle persone che abitavano i palazzi minacciati, di evacuare. La tristezza e il dolore di chi imponeva di andarsene era pari a chi doveva lasciare la propria casa. Faccio questa premessa,Signora Gianna,per indicarLe con quanta amarezza La invito a riflettere sulla necessità di traslocare dai suoi convincimenti. Essere stati assorbiti dai sentimenti di Bolero Film ci ha impedito di accorgerci che le generazioni seguenti non sarebbero riuscite a organizzare il vuoto attendendo la prossima puntata di Bolero Film e che il suo posto sarebbe stato da colmare. Purtroppo.
Io credo che anche questo sia da ricordare. Mi scusi, Signora Gianna.


Per sapere

La capacità di descrizione satirica, la scrittura fresca e irriverente, la precisione nel rappresentare la manipolazione psicologica nell'ambito della vita lavorativa hanno permesso a Michela Murgia di essere considerata una scrittrice intelligente e di ottenere un franco successo. Due giorni fa, il 16 ottobre, il suo articolo sul quotidiano Epolis, dove scrive regolarmente una volta alla settimana, raggruppando i suoi interventi in una rubrica chiamata "Lavorare stanca", aveva per titolo "Il fantastico mondo dei tg di Emilio Fede".
In questo articolo espone il tema dell'esistenza di due mondi e vi riporto la prima parte del suo scritto.
"Negli anni 80 impazzivo per una serie tv che si chiamava "Ai confini della realtà" e raccontava di un mondo parallelo al nostro, analogo ma non proprio eguale, dove i protagonisti a volte finivano per sconfinare, scoprendo a proprie spese il mondo alieno e misterioso del verosimile. Era ottima fantascienza e mi rammaricai quando la serie ebbe termine. Poi per fortuna ha cominciato ad andare in onda il Tg 4 ,un programma delle reti Mediaset ispirato allo stesso format. Dopo averlo confuso per un Tg ,molti orfani del telefilm americano hanno compreso che si trattava in realtà di un seguito della vecchia serie tv, ambientato però in Italia. Nella nuova versione un giornalista, dal significativo cognome di Fede, finge di trasmettere da una dimensione parallela alla nostra, da un mondo analogo, dove succedono cose del tutto verosimili ma diverse…."
Grazie alla sua sensibilità Michela Murgia ha percepito il processo che in psicologia è chiamato la "fuga nella realtà". Si tratta di un processo dove la realtà è organizzata come se fosse vera, segno distintivo della situazione è che nulla appare contradditorio. Esiste sempre solo una versione della realtà; la fuga non è dovuta ai contenuti che tale realtà offre, ma alla possibilità di credersi capace di essere in contatto con la realtà. Si tratta del mondo del verosimile e non prevede le alternative. Come per un colpo di bacchetta magica il soggetto evita quanto contraddice quello che vede e pensa, che diviene così l'unica ipotesi esistente. In lui non compare mai la contraddizione, non avverte l'angoscia. Anche se le sue condotte cambiano, per ogni condotta è come se vi fosse un segmento diverso dell'io che può considerarla sua e i segmenti sono infiniti, come le condotte. I comportamenti incompatibili coesistono esplicitamente. Si è tentati di chiamarla cecità, in realtà non manca la capacità di vedere ma la concezione che ci sia qualcosa da vedere, oltre quello che si ritiene di vedere.
Il contributo di Michela Murgia è interessante e nel contempo pericoloso. Proprio lei, che ha mostrato una disponibilità ad ampliare il campo della sua satira, quando tratta forse il tema più essenziale con cui si è confrontata, quello che ben si addice al titolo del suo libro "Il mondo deve sapere", ne parla riferendosi ad una persona che è considerata unanimemente unilaterale e quindi annulla, con la sua immagine, l'informazione sul processo e la sua autonomia. Non si tratta di cercare esempi di vivere nel verosimile meno evidenti, Michela Murgia avrebbe potuto cercarli in Vaticano,in Piazza Cordusio o al Viminale. Quello che ha evitato è, dopo avere ringraziato Fede per il contributo evidente all'argomento, di contribuire a sensibilizzare sull'esistenza del processo; di passare cioè dalla denuncia dei cattivi al rispetto della gerarchia che pone il processo prima della persona che ne dà l'esempio. Se lo avesse fatto, con la sua scrittura brillante avrebbe contribuito, nella misura del suo possibile, alla ricerca del legame tra il processo e l'individuo in quanto tale. Un lavoro più faticoso; come dice Michela: "lavorare stanca".

Immagini …da riconoscere

Accade sempre più di frequente di trovare nei blogs o nei siti personali, una selezione di fotografie dei figli o nipotini presi in atteggiamenti più diversi.
La Convenzione di Strasburgo nel 1981 ha avviato una sensibilizzazione sulla protezione dei dati personali; da allora molto è stato ancora regolamentato per impedire la diffusione di informazioni e immagini senza che la persona abbia concesso l'autorizzazione. Numerosi sono i garanti di questa auspicata presa di posizione. La Convenzione Internazionale sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ha incontrato il favore unanime. Si è arrivati alla sua firma dopo secoli in cui i bambini sono stati considerati esseri inferiori, privati della loro identità e di ogni tipo di diritto. Da diversi anni si è sviluppata una diffusa consapevolezza del valore dell'infanzia e, il 26 gennaio 1996, è stata firmata a Strasburgo una Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli.
Una capillare sensibilizzazione sul tema è stata portata avanti da persone vigili che hanno segnalato quante difficoltà si incontrano perché le Leggi passino alla reale applicazione dei principi in esse enunciati. Numerosi convegni e tavole rotonde hanno chiarito che non è sufficiente la approvazione delle leggi e sottolineato senza interruzione la necessità di un impegno diffuso di tutti i cittadini.

Probabilmente i genitori e/o i nonni sono d'accordo, se non fautori e divulgatori delle convenzioni sopra citate. Se ci soffermiamo un momento potrebbe però sorgere il dubbio
che il loro comportamento non sia allineato con il rispetto e il diritto all'immagine: chi può dire se tra alcuni anni il bambino sarà d'accordo sul fatto che la sua immagine
sia stata proposta a milioni di sconosciuti. E' comunque probabile che ora il suo piacere sia minore rispetto a quello degli adulti che lo mettono in rete.
Relegare l'altro a strumento del proprio bisogno e cancellarne la specificità non avviene soltanto nelle forme plateali.

Frammentazione del pensiero

La frammentazione del pensiero è riconosciuta come la situazione di dissociazione che caratterizza il funzionamento dello psicotico, ma la sua presenza nel quotidiano merita comunque attenzione.
Francesco Alberoni, in un articolo di diversi anni fa, scriveva: Nel mondo moderno sta lentamente scomparendo l'abitudine alla argomentazione e alla dimostrazione. Prevale una forma di pensiero fatta di osservazioni puntuali e di conclusioni affrettate: il pensiero frantumato lo si vede un po' dovunque. L'articolo proseguiva elencando le situazioni dove compare la frammentazione, che vanno dai talk show televisivi, dove i partecipanti possono dire solo brevi frasi e vengono interrotti da una battuta, da una telefonata, da una osservazione che non c'entra…Così l'opinione di chi non sa nulla finisce per contare come quella del più grande studioso; ai giovani dove prevale il prendere posizione dicendo mi piace, non mi piace su tutti gli argomenti come se si trattasse di un gelato; alle imprese dove si usano ormai solo presentazioni in cui vengono proiettati lucidi che contengono fatti, idee salienti, tappe per arrivare alla conclusione, ma non viene mai esposta l'argomentazione rigorosa nel suo complesso. Perciò, alla fine, quando domandate perché è stata presa quella decisione e non un'altra, vi sentite dare risposte inconsistenti.
L'articolo indicava alla fine i rimedi. Alcune grandi imprese fanno corsi di cultura generale ai propri manager per abituarli a stabilire connessioni. E in alcune grandi Business School è stata introdotta la filosofia per insegnare nuovamente il ragionamento logico.

La soluzione basata su procedure per recuperare una modalità necessaria, che è andata perduta, appare però priva della connessione più essenziale. Come mai la frammentazione è tanto diffusa? Da dove si origina la tendenza a interessarsi a eventi, servizi, persone che sono la riproduzione dell'inconsistente? Una risposta è che la valorizzazione dell'inconsistenza permette di rendere tutto eguale: quando nulla può essere smentito l'angoscia del vuoto è tenuta lontano.
Conviene quindi valutare l'ipotesi che la meta cercata con la frammentazione è mimare il connettere; lo psicotico non ci riesce, anche se pretende di farlo; il giovane lo fa in modo riconoscibile; l'azienda dispone di paraventi che possono trarre in inganno. Quando l'assenza del connettere è coperta con la codificazione dei ruoli è ancora più difficile riconoscerla. Ma la costante comune ritrovabile in ogni situazione di frammentazione è evitare il confronto con le condizioni richieste dal connettere: riconoscere le differenze ed essere capaci di ricevere. All'origine della tendenza alla frammentazione vi è l'assenza del "soggetto che connette" e il mortale bisogno di non saperlo. Ai fatti della cronaca, e allo smarrimento che producono, possiamo rispondere con il proporre soluzioni operative, introdurre valori morali o altro. Non dovremmo però tralasciare di guardarli, riceverli e riconoscerli come l'esempio dei danni prodotti dalla frammentazione che per celarsi si replica sempre di più.

Ciò che è vita senza essere bisogno chiamalo amore, il resto no

ciò che è vita

Gigi Pedroli 2002 Acquaforte

Non c'è che un amore, quello che rinasce ogni giorno

non c'è che un amore

Gigi Pedroli 1993 Acquaforte

Se avessi saputo che ti amavo così tanto ti avrei amato di più

se avessi saputo

Gigi Pedroli 2007 Acquaforte

Chiesi dove rispose non so, chiesi quando rispose con te

chiesi dove

Gigi Pedroli 2000 Acquaforte

La rivincita a un baro la chiede solo chi bara.

La rivincita a un baro la chiede solo chi bara

Gigi Pedroli 1998 Acquaforte

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